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Il declivio ed il corpo


MARKÉTA ŠENKYŘÍK
e le curve di una dichiarazione artistica leggera come il verso d’una lirica.


C’era la carta. La voglia d’un testamento spirituale che mantenesse, nell’arte, l’odore dei fogli, quelli della rilegatura e del diario, quelli della grammatura da studiare a seconda dell’effetto di effimera, caduca, leggera compostezza da conferire alla figurazione.


La verità è che nell’ossessione lirico-creativa di MARKÉTA ŠENKYŘÍK la figura non esiste ma quel che prende forma è l’essenza stessa delle sue visioni, segnata, con il tratto d’una eleganza antica, come si traccia il confine tra la terra e il cielo.


“Ho sognato di essere il tuo paesaggio natio”
C’è l’evocazione illogica di una sensazione rincorsa, come fosse vento tiepido di una evoluzione di sensi e di soste.


La maternità e la sua spiegazione sembrano divenire, nel modus pingendi dell’artista, riflessione, confessione, intima quanto un diario, dell’indispensabile mutamento di un corpo e della sua narrazione lucida, donata all’osservatore delle opere come dono prezioso di senso.


La dinamica liquida dell’acquerello, quella tecnica in cui l’errore equivale all’annullamento totale della ispirazione, è la chiave di volta della sua natura artistica.


E poi c’era la volontà e la voluttà. Lo studio del corpo prestato alla funzione generativa e la sua immutata eppur rinnovata femminilità. La sua è una indagine dagli affondi mai scrutati appieno, già resi “verso” dalla grande Alda Merini. Un affondo di donna e madre che analizza nei frangenti più intimistici e di più intensa poesia la forma pura, il corpo e la metamorfosi.


Se questa è la premessa, l’effetto è la sostanza di anni di studio e di formazione, suggellata da esposizioni, opere premiate ed esposte, luoghi simbolo che le hanno ospitate tra cui l’ospedale in cui è venuta alla luce Kaya, prima e più grande opera d’arte della vita di MARKÉTA.


Il diario dell’artista, dipinto come per imprimere in maniera indelebile quel che il tempo tende ad offuscare, si nutre di contenuti dalla intoccabile sacralità. L’elemento che maggiormente affascina, però, sembra essere una similitudine, ovvero quella che vede la donna ed il cui corpo sovrapporsi ad un paesaggio lucano, alle colline basse di Bernalda, allo sguardo della pittrice volto al mare, oltre ogni declivio. Dalla Repubblica Ceca, l’artista ha trovato casa in Basilicata, divenendo, anche per naturalità di pensiero, figlia eletta della nostra terra.


Alle pendici del monte, vi è dunque la sua scelta. Emozioni e non stabilità, Bellezza anziché approdi sicuri.


Nessuna certezza in una mente di donna che dipinge il suo corpo di madre come fosse la curva che separa la terra dall’alba. Non vi è tramonto però, perché il bello assoluto non conosce fine. Esso è simile al moto circolare delle stelle, dove inizio e fine sono poi la stessa cosa. Vi è solo la notte, le sue sfere e le sue costellazioni. Gli incroci di punti e rette a tracciare i segni di un’arte liquida ma di una mente solidissima, avanguardista, predisposta al bello che vive nell’essenziale.


Forme, colori e concetti sono ridotti all’osso. Nessuna aggiunta, nessun fronzolo per raccontare il senso.


Una capacità tecnica affermata e chiara, quella di MARKÉTA, che incontra la sua voglia di imperfezione. Cosa può apparire di più imperfetto di un corpo di donna che ha appena prodotto il bello assoluto e la perfezione?


Ecco, la sua pittura è un travaglio concettuale, un parto di limpida, dolcissima concretezza, una visione animistica e spirituale dove la donna è natura ed il latte materno è quel che lava dall’impuro ed allontana il mare.


Una lunga meditazione, concitata nella sua viscerale schiettezza, che si concretizza in una poesia impressionista ma in un impatto “Fauve”, che preserva i colori neutri di Delaunay, con il realismo di Lucièn Froid e la delicatezza emozionata dei veli delle culle trasparenti di Berthe Morisot.


La sua è però una pittura, o meglio, un racconto di gestualità trascritte in forma e colore, dalla necessaria nobiltà futurista, blindata nella descrizione immobile dell’attimo che passa, nata con la volontà di mettere il mondo di fronte al vero e di trasformare, nella stessa metamorfosi che ogni donna compie, un “taboo” in concetti di raffinata bellezza. In un’eleganza d’altri tempi, unita ad un coraggio e ad una modernità rinascimentale, MARKÉTA ŠENKYŘÍK delinea il suo nuovo umanesimo.


Un seno come il colle, il ventre come la luna. Il frutto di un concepimento come “un’alba nuova”, non lontano dalla terra di Scotellaro.


“Io sono un filo d’erba. Un filo d’erba
che trema. E la mia patria è dove
l’erba trema”. Oltre che dove trema
l’amore, non come celeste illusione, ma come l’istinto più razionale che c’è.


Dott.ssa Merisabell Calitri Storico dell’Arte

 

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